martedì 28 novembre 2006

Bilòdelain!


Ricordate il mio post "Memetica, questa sconosciuta..." dove mi chiedevo stupito se davvero fossi uno dei pochi che non trovassero la memetica un argomento oscuro e misterioso?
(Non lo ricordate? Beh, è qualche rigo più sotto... dateci un'occhiata!)
Oggi mi sono ritrovato a chiacchierare con alcuni professionisti di una importante azienda locale del settore pubblicitario, e ho visto i loro occhi sgranarsi al mio pronunciare le parole "below the line"...
Un deglutire nervoso, gli sguardi che si cercavano per cercare di capire se l'altro sapesse di cosa stessi parlando.
"Bilòdelain?"
Ho trattenuto un sorriso e spiegato cosa intendessi... in fondo il loro imbarazzo lo avevo già visto quasi ogni volta mi ero trovato in una discussione simile con tanti ragazzi laureati in scienze delle comunicazioni, in giornalismo, perfino in tecniche pubblicitarie, per i quali il "below the line" è soltanto una parola incomprensibile...

Ma cos'è, alla fine, questo "below the line"?
Nel gergo pubblicitario, sono "below the line" tutte le attività di comunicazione che non sfruttano i media classici (televisione, radio, editoria, affissioni); costituiscono il "below the line", quindi, gli eventi, le sponsorizzazioni, le relazioni pubbliche, il marketing virale, ecc.
E tutto questo, secondo le statistiche di settore, ha il miglior ROI (Return On Investment, ovvero contropartita ottenuta sull'investimento fatto) dell'intero comparto promozionale... insomma, non è un caso che le più grandi marche del mondo insistano sempre più nell'organizzare eventi in giro per il mondo (per nominare solo i primi che mi vengono in mente, Nike promuove eventi sportivi, dal calcio 3vs3 al ballo, Coca-Cola e Heineken regalano concerti, Fanta un villaggio-evento), ed è assurdo che i professionisti e i futuri professionisti della comunicazione lo ignorino!

4 commenti:

Anonimo ha detto...

E se avessero una conoscenza molto approfondita su ROI, eventi, marketing virale, e sponsorizzazioni e sulle loro applicazioni, e non conoscessero solo il termine? Reputo che sia soltanto un'altra definizione nata da relatori che intendono sintetizzare sempre al massimo i loro concetti. Non è la conoscenza di un termine o di un altro che definisce la professionalità e la competenza di un "lavoratore".

Giancarlo

Dario Cherubino ha detto...

Ciao Giancarlo, e, innanzitutto, grazie per il tuo commento.
Certo, è pure possibile che esista gente che non conosca un termine, ma sia assolutamente competente proprio in quel campo...
Tuttavia, io non mi fiderei di un medico, soprattutto uno specialista, che asserisse di non conoscere il nome di una malattia, ma di sapere come curarla; e probabilmente non mi fiderei nemmeno di un idraulico che non sapesse come definire i propri strumenti di lavoro...
E tu?
Metteresti la tua immagine nelle mani di persone che non sanno in quale macrocategoria rientra il loro lavoro?

Anonimo ha detto...

Gli esempi non sono degni di un commento, ma l'arma mi piace e la sfrutto anch'io... Com'è possibile che un signore analfabeta senza conoscenza di management, senza scuole, e sopratutto ignaro della lingua inglese oggi sia uno degli imprenditori più ricchi d'Italia? Esempi su questa scia ne esistono un'infinità...

Giancarlo

Dario Cherubino ha detto...

E' vero che esistono singoli casi che possono dimostrare qualsiasi cosa, ma io cercavo di tenermi più sul generale possibile... e, in generale, lo studio e il continuo aggiornamento (anche sui termini, che sono comunque un interessante indice) sono segnale non solo di competenza, ma anche di passione e interesse verso il proprio lavoro.
Segnale non vuol dire garanzia, certo, ma per me questa è una importante conferma nello scegliere con chi lavorare.
E spesso lo è anche per i miei clienti.