venerdì 17 novembre 2006

Beata la terra che non ha bisogno di martiri


Pochi giorni fa ho visto un articolo al tg. Un sondaggio.
“Chi è il tuo eroe?”
E gli intervistati hanno risposto con la consueta varietà, passando con disinvoltura dal Papa a Berlusconi, da Prodi a Madre Teresa di Calcutta.
E, in coda, tra i dimenticati, Giovanni Falcone.
Che forse era davvero l’unico, tra tutti i nominati, che avesse dato la vita, in maniera letterale e non solo figurata, per salvare il suo popolo.

Ancora ricordo quando mi arrivò la notizia della sua morte. Ero in campeggio, ed era il 23 maggio 1992.
500 chilogrammi di tritolo avevano tolto la vita a chi aveva combattuto per sciogliere i lacci di una prigionia tutta siciliana, subdola ma abbastanza potente da non avere bisogno di essere davvero invisibile.
Ma ciò che la Mafia non poteva immaginare è che l’eco di quella esplosione avvenuta a Capaci sarebbe stata sufficiente a fare insorgere un popolo spaventato e abituato (rassegnato?) all’oppressione, vittima di Cosa Nostra quanto di uno stato incapace o colluso, incapace di difenderlo.
La morte del giudice Falcone ha dato vita a una silenziosa rivoluzione, una valanga che ha rotto il muro dell’omertà eretto in decenni di sopraffazioni mafiose.
Una valanga che ha portato agli arresti di capimafia considerati da sempre intoccabili, come Riina (nel 1993, dopo nemmeno un anno dalla strage) o Provenzano.
E forse un giorno davvero l’Italia renderà merito a Giovanni Falcone, magistrato.
A Giovanni Falcone, eroe.
A Giovanni Falcone, uomo.

“Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni.” Giovanni Falcone

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